Vittorio Coscia

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Bio della Storia

La guerra ha lasciato una traccia profonda nel carattere di Vittorio: dalla condizione d’indigenza in cui la sua famiglia e caduta durante il secondo conflitto mondiale anche per il blocco all’estero dei suoi beni, egli ha ricavato il proposito fermo di riuscire ad acquisire una posizione di sicurezza e di benessere. La mattina del l0 giugno l940 dal balcone di Piazza Venezia Mussolini con voce roboante annunciava l’entrata in guerra dell’Italia. Vittorio frequentava allora l’oratorio “Nova Juventus” guidato da don Michele Capano e don Stefano Perna, con Tonino Luise, intimo amico e anch’egli orfano di padre. Davvero non si può immaginare un bombardamento aereo se non lo si vive. Ancora oggi Vittorio ha chiaro il ricordo di quando, durante la guerra, l’edificio di fronte alla loro casa di via Vittorio Veneto fu colpito da una bomba americana, annunciata dall’urlo delle sirene: una nuvola di polvere li avvolse mentre cadevano pietre e calcinacci, grida di terrore e sua madre – rima- sta vedova e con sei figli – che chiamava a se i figli per coprirli.”Con le braccia aperte, piegata su di noi – ricorda Vittorio – la mamma cercava di proteggerci da quella pioggia di pietre, facendo scudo con il suo corpo. Una scena straziante e drammatica e forse anche illogica. A mente fredda, dopo tanti anni, mi viene infatti da chiedermi: “Cosa sarebbe stato di noi figli; via orfani di padre, se fosse venuta meno anche la mamma?””. Difficile cercare di spiegare questo a una madre. Non e questa, pero, l’unica traccia che la guerra ha lasciato nella famiglia Coscia, alla quale restituì Francesco, il primogenito andato a combattere in Albania, privo di una gamba. Sua madre, Teresa, non appena ebbe notizia del ferimento del figlio, parti immediatamente per Ancona, dov’è all’ospedale avvenne la mutilazione della gamba di Francesco. La vista di quel figlio bello e aitante con quella mutilazione la gettò nello sconforto, solo in parte consolato dall’abbraccio commosso della principessa Jose di Savoia, che si trovava h in quel momento. Ella dovette fare davvero “i salti mortali” per portare avanti la famiglia, provvedendo a tutto, dall’alimentazione all’abbiglia- mento, senza rinunciare agli studi di ciascuno dei figli.Egli, che al Liceo Classico De Bottis di piazza Luigi Palomba si era distinto per il buon andamento scolastico, decide di “fare il salto” del terzo anno di liceo, passando dal secondo anno direttamente all’università, con un gruppetto di amici: Mimì Ascione, Ninì Mennella e Mario Sorrentino. I primi due, purtroppo, sono scomparsi, mentre con l’ultimo c’è tuttora un rapporto di profonda amicizia. Ci riesce e s’iscrive al primo anno di giurisprudenza a Napoli. Con l’iscrizione all’università entra a far parte della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), mentre altri suoi amici si iscrivono all’associazione GUF (Giovani Universitari Fascisti). Le materie universitarie gli riescono subito congeniali, ma già da allora nella sua figura si agitano la voglia di viaggiare, conoscere, entrare nel mondo degli affari, realizzare nuove idee, nuovi progetti e quest’ansia di “realizzazione” prevale su tutto il resto.
In lui c’è già l’idea che per andare incontro alle necessita del cliente bisogna conoscerlo e parlare la sua stessa lingua, entrare nella sua mentalità. Si tratta di una maniera moderna di concepire l’impresa, “marketing-oriented” orientata al mercato, che lo porterà ad essere presente nei mercati internazionali, alle più importanti fiere mondiali del suo settore e ad ottenere risultati e stima professionale.
L’aprirsi dell’azienda paterna di pietre preziose ai mercati internazionali sarà la cifra dell’intervento originale di Vittorio Coscia che si specializzò in particolare nel settore delle perle e dei cammei. Vi fu
un’intensa azione commerciale in tutti i mercati, soprattutto quelli dell’estremo Oriente. Provvidenziale, a tal proposito, fu il fatto che l’allora figlia dell’imperatore del Giappone ad una festa importante indossò un bellissimo cammeo che fu molto apprezzato dai presenti e diffuso dalla stampa internazionale.

Costa Azzurra l973
Ogni anno, verso la fine dell’estate, portavo la mia famiglia a fare un piccolo viaggio, convinto che il viaggiare e conoscere altri paesi e persone con costumi diversi dai nostri sia utile alla formazione culturale dei figli. Una volta a Saint Tropez, locali della Costa Azzurra, nota per la bellezza del luogo e la mondanità del turismo (un po’ come accadeva nella nostra Isola di Capri) – artisti, attori, gente eccentrica – mi sistemai con la mia famiglia su una spiaggia: molte donne errano in topless (che dà noi non era ancora arrivato) e da lì a  poco iniziarono a passare molti divi, intellettuali e gente sofisticata appartenente al jet set internazionale. L’armonia e la semplicità della mia famiglia, il contrasto con il clima libertino del posto, dovette richiamare l’attenzione di uno dei più accreditati fotografi del luogo – lavorava, fra l’altro, per Brigitte Bardot – che insistette per riprendere la famiglia e il risultato di quest’incontro campeggi ben incorniciato, in un adatto ripiano del salotto di casa mia. Non è difficile, in questo caso, vedere nell’insistenza del fotografo il desiderio di ricordare l’esempio di ciò che viene spesso sacrificato sull’altare del successo e della notorietà: l’ambito de propri affetti e della famiglia. Non è un caso che chi, come il fotografo (e, in questo caso, un grande fotografo), e per certi versi, “costretto” a immortalare l’attimo, l’immagine migliore della bellezza di quella diva o di quell’evento destinati a finire, senta il bisogno di riprendere una famiglia. Una bella famiglia, risultato di una scelta di vita diversa, che non esclude necessariamente il successo, ma indica la cura del naturale sviluppo della personalità umana che, nella sua maturazione, comporta il dono di sé, l’amore, i figli. Che poi è quello che davvero rimane, mentre il successo è effimero: oggi può esserci e domani chi lo sa?

Shimizu l975
Una volta a Shimizu, una cittadina a Sud di Tokyo, mi accadde di visitare un commerciante di corallo che viveva in una casetta ai margini della spiaggia in con- dizioni davvero primitive. Ero con il mio amico Romano Vulpitta e ci sorprese osservare che in un deposito, h nei pressi, egli aveva del corallo splendido di alta qualità, il cui valore si poteva aggirare su alcune decine di miliardi di vecchie lire e quel personaggio era h, così semplice e dimesso … Per noi occidentali, così attenti all’immagine e alla cultura edonistica, ci sembro uno sproposito, ma al tempo stesso ci diede uno spunto di riflessione: “Cosa e la ricchezza?”, ci chiedemmo. Per questo commerciante evidentemente non era importante avere una sontuosa villa, che sicuramente si sarebbe potuto permettere, né una macchina di grande cilindrata, cose che molto spesso dalle nostre parti costituiscono degli obiettivi da raggiungere, la leva per intraprendere e per lavorare, ma gli bastava quella modesta casetta in riva al mare, dove viveva a contatto con la natura e i suoi coralli, che dalla natura aveva tratto …
Taipei (Isola di Formosa) 1980
A Taipei una volta mi capitò di essere invitato da un cliente che mi volle offrire del coccodrillo, tagliato a fettine sottilissime e perfino del sangue di serpente, che pare faccia molto bene agli occhi. E mi servi effettivamente, dato che di fronte a quel cibo così speciale non credevo ai miei occhi! Un’altra volta in una serata estiva afosa, dopo un’intensa giornata di lavoro trascorsa nella selezione del corallo grezzo, con il mio amico Vincenzo Panariello, commerciante di corallo, decidemmo di rilassarci con una passeggiata per il centro della città. Mentre arrivavamo alla piazza principale cittadina notammo in essa l’accalcarsi della folla, stranamente silenziosa. Ci accorgemmo poi che
questa grande quantità di gente era composta da turisti, fra i quali molti nord-europei. Tutti erano assorti da un incredibile spettacolo: un uomo, al centro della folla, seduto su una panchetta di legno, sgozzava e spellava grossi serpenti. Il silenzio, dovuto di certo alla curiosità, era misto anche alla paura: cosa sarebbe successo se una di quelle bestie fosse riuscita a liberarsi? L’omino poi, mostrava il sangue del serpente scorrere, lo vendeva e alcuni locali ne bevevano. I turisti erano letteralmente catturati dal sinistro spettacolo e al tempo stesso terrorizzati: si poteva captare facilmente dal loro sguardo. Più in là, a questo punto, notammo un altro nostro concittadino, anch’egli commerciante di corallo e fu allora che il mio amico Vincenzo concepì un’idea intonata perfettamente alla situazione: si avvicinò silenziosamente a lui, come un serpente, e con una manata sul culo lo salutò affettuosamente. Questi per la sorpresa e la particolare situazione emise un grido così forte che rintronò tutta la piazza. Successe il finimondo: tutti scappavano convinti che si fossero liberati i serpenti! Quando si scoprì che il grido era frutto di uno scherzo la folla si voltò inviperita contro di noi e a mala pena riuscimmo a evitare il linciaggio, grazie alla polizia locale.

L’azienda di Torre del Greco, giunta ormai alla quarta generazione, si è ulteriormente consolidata e ampliata con l’apporto del figlio Giancarlo e del nipote Vittorio jr.

Posizione

  • La mia posizione
    Torre del Greco, provincia di Napoli, Italia

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