Bio della Storia
L’avventura universitaria è nata per me nel segno dell’incertezza: Architettura era in un’altra città, Medicina era troppo lunga, Economia e commercio di per sé non mi esaltava, ma neppure mi dispiaceva. Era breve, però, e così la scelsi. Ricordo che al ritorno dal viaggio in Inghilterra andammo a iscriverci insieme al mio più caro amico, ma lui andò a fare la fila per iscriversi a Medicina, mentre io andai alla fila di Economia e Commercio. Punti di contatto? Praticamente nessuno, ma andò così. Per me l’idea di essere ancora dipendenti dai genitori a 7/8 anni dalla laurea era inaccettabile. E così iniziai i miei corsi frequentando poco, studiando abbastanza e superai i primi esami, con voti buoni, ma lentamente. Dopo tre anni, avevo superato solo sette esami su ventiquattro. Fra questi esami ce n’era uno, l’ultimo, che mi aveva portato a questa considerazione: “D’ora in poi qualsiasi voto mi danno me lo prendo e poi mancheranno 17 esami, da fare in un anno: li farò”. Ad essere sincero questa certezza era come se mi venisse da fuori, dall’alto, perché io da solo non potevo farcela. Certo, avrei dovuto prendere tutti 30 tranne 4 o 5 voti dal 27 in su, ma, ripeto, non so perché, ebbi l’impressione che la cosa fosse possibile e in effetti lo fu. Mi laureai in corso con la lode. Il giorno della laurea il professore mi chiese: “Che mestiere vuol fare lei?”. Gli dissi: “Il commercialista”. Allora faccia attenzione, perché se ho capito bene come la pensa, non le sarà sempre facile fare scelte secondo coscienza”. Aveva ragione.
Posizione
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La mia posizioneNessuna posizione impostata.