Arnaldo Aventis

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Bio della Storia

Arnaldo era originario di Roccapalumba, una cittadina del centro della Sicilia, situato nella parte interna della provincia di Palermo, in direzione di Agrigento. Egli decise di frequantare la facoltà di Agraria per meglio amministrare i terreni di famiglia. Così partì per Perugia dove c’era una ottima facoltà di Agraria e iniziò a studiare le varie materie di questo percorso universitario. Avendo combattuto la Prima guerra mondiale come ufficiale, Arnaldo aveva diritto a frequentare il circolo ufficiali della città di Perugia, dove, in una festa molto elegante, aveva conosciuto Eunice, una deliziosa la ragazza di Bevagna (PG), che subito aveva attratto la sua attenzione. Eunice, infatti, era una ragazza minuta, dal volto ovale molto leggiadro, e due occhi scuri, che parlavano al cuore di Arnaldo della bellezza e della nobiltà della sua anima. Fu il luccichio di quegli occhi che rimase impresso nella mente e nel cuore di Armando, che presto capì che Eunice era la donna della sua vita.
Eunice veniva da una buona famiglia di Bevagna, che si era poi trasferita a Chieti, quando il padre Aristotele aveva vinto il concorso di primario presso l’ospedale di questa cittadina marchigiana.
Iniziarono a frequentarsi e anche Eunice rimase colpita dalla fortezza e dalla bontà d’animo di questo gentiluomo siciliano. Fu così che nel 1928 Arnaldo e Eunice convolarono, come si dice, a giuste nozze. Dal loro matrimonio sarebbero nati 5 figli di cui però rimasero in vita solo tre femmine: Maria Carla, Ivana e Marianna.
A sua volta le tre figlie si sposarono la prima con il conte Aironi, la seconda con Guglielmo Bosso e la terza con Giovanni Bonanno ed ebbero rispettivamente uno, cinque e sette figli.
Arnaldo era mio nonno. Aveva deciso a un certo punto della sua esistenza di spostarsi in Uruguay come facevano all’epoca molti italiani, per realizzare un’azienda agricola dove il cambio facilitava molto l’investimento e dove nel tempo c’erano prospettive di una vita tranquilla e serena. Forse se questo fosse accaduto io non sarei nato, in quanto mio padre aspettava che mia madre tornasse dall’Uruguay quando loro partirono ed essendo a un certo punto tornati poi si poterono effettivamente sposare e dare luogo alla mia numerosa famiglia.
Nonno era stato in guerra, la “grande” guerra (la Prima guerra mondiale) ed era stato sindaco di Roccapalumba. Ricordo bene quando il nonno ci parlava delle sue storie di guerra e anche quando giocavamo a carte con lui aveva delle filastrocche che servivano a contare il numero delle carte nel distribuirle. Così come ci cantava la canzone del piccolo naviglio: “C’era una volta un piccolo naviglio, che non voleva, non voleva navigar. C’era una volta un piccolo naviglio, che non voleva non voleva navigar. E dopo 1234567 settimane lui non voleva, non voleva navigar e dopo 1234567 lui non voleva, non voleva navigar…” Di recente ho scoperto che esiste anche la versione spagnola della stessa canzoncina.
Nonno era di una bontà straordinaria, ma era anche molto forte e sapeva come incutere timore a noi bambini. Per esempio, per incutere timore lui usava la “ferra” o meglio minacciava di usare la ferra che era un bastone di legno di circa quattro o cinque cm di diametro molto leggero, ma molto duro che lui minacciava di usare la ferra se noi non rigavamo dritto. Ma io non ricordo che lui abbia mai usato la ferra, era semplicemente un deterrente.
Nel suo studio egli aveva un trattore SAME in miniatura, completo di tutti i particolari, in gran parte amovibili, di colore arancione in cui si giravano il volante, le ruote, ed era possibile poter osservare tutti i particolari di questo trattore che ripeteva in piccolo quello che lui effettivamente aveva il non e utilizzava in campagna. Mi piaceva molto giocare con questo trattore, così come mi piaceva giocare con le macchinine, delle quali ero appassionato e che conoscevo nella marca nelle caratteristiche e nei prezzi. Mi ricordo a tal proposito che un giorno nella vecchia scrivania del nonno trovai uno scritto di quando avevo 9 o 10 anni in cui c’erano due o tre liste di automobili: una era delle automobili che mio padre non avrebbe potuto permettersi, la seconda lista comprendeva le automobili che mio padre avrebbe potuto permettersi, ma non voleva acquistare e la terza lista era naturalmente quella delle automobili che mio padre poteva acquistare e probabilmente avrebbe acquistato alla prossima occasione. Mi chiedo se la passione per le auto che in seguito poi ho perso non è nata proprio nello studio del nonno mentre giocavo con il trattore miniatura.
Una delle favole che nonno raccontava era quella di Pitello. Questa favola aveva come sempre un contenuto esortativo. Si trattava di un bambino di una famiglia di contadini disobbediente che a un certo punto sfuggiva ai genitori e questi genitori si mettevano a cercarlo in campagna perché loro stavano in campagna. E questo bambino si nascondeva solo che a un certo punto veniva mangiato da uno dei buoi e allora i poveri genitori lo chiamavano e dicevano: Pitello dove sei? Pitello torna a casa! Pitello dove sei? Pitello che era stato mangiato da uno dei buoi non si ricordava di che colore fosse il bue che se lo era mangiato, così a un certo punto disse sono nella pancia del bue bianco e allora naturalmente i genitori aprirono la pancia del bue bianco e Pitello non c’era. Allora continuava a chiamare Pitello dove sei? Pitello torna a casa. E Pitello rispondeva: “sono nella pancia del bue marrone.” Così aprirono la pancia del bue marrone ma Pisello non c’era. Alla fine, insomma riescono a tirare fuori Pitello dalla pancia del bue giusto e a quel punto era chiaro che Pitello aveva imparato la lezione, dopo essersi preso un grandissimo spavento.

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